Lo sguardo sulle cose

Lo sguardo sulle cose

La giornata non è delle migliori. Piove da giorni, senza tregua. Tutto sa di umido e muffe in fermento: gli abiti, le borse, l’automobile, persino il cuore. Sembra che la vita sia piena di infiltrazioni, la pioggia si insinua in ogni dove, trova uno spiraglio e lo occupa, cola fin dove le è concesso.
E il bar. Il bar è affollato. Certo, dove mai vuoi aspettare che apra l’ufficio delle poste, se piove a dirotto?
Guardo la distesa di cappotti impregnati di pioggia, piumini invernali lucidi e scarponcini infangati che si apre dinanzi a me. Guardo avvilita anche il portaombrelli stracolmo. Il mio ombrellino rosso mezzo sgangherato (no, davvero, esistono ombrelli che non lo siano?) che piange la pioggia facile dell’ultima mezz’ora sembra intimidito. Dove mi metterai adesso? Mica per terra, vero? E invece, sì.
Devo trovare un angolino dove rifugiarmi.
Permesso.
Scusi.
Permesso.
Abbia pazienza, eh, sì lo so, il tempo.
Tutti alla posta. E non solo. Tutti al supermercato, in coda, in banca, a scuola. Le giornate galoppano e noi sempre in ritardo, sempre in affanno, una guerra quotidiana contro i dovrei, i vorrei e, neanche a dirlo, la pioggia.
Trovo uno sgabello libero. E’ scomodo anche solo alla vista. Ha il sedile quasi sfondato, ma non me ne curo. Mi arrampico sullo sgabello, poso le mani sul bancone e guardo la barista che mi sorride.
“Un cappuccino, per favore”.
Lei si sposta e mi appare un enorme specchio che rimanda l’immagine di una me stessa spettinata, la faccia spenta e stralunata, il giaccone che a guardarlo adesso, così, è proprio orribile, da quanto tempo non vado dall’estetista a fare le sopracciglia? Insomma, sembra che non incontri uno specchio da mesi e invece. Quello di casa mia mente, non c’è dubbio. E’ falso. Tutte le mattine mi dice che sto bene e invece. Bastardo. Lo toglierò. Ne comprerò uno più sincero.
“Tutto bene?”.
Una ragazza si siede al mio fianco, su uno sgabello che si è improvvisamente liberato. Più comodo del mio, si vede. Bastardo pure lui.
“Sì, più o meno” le rispondo imbarazzata, intanto che lei ordina un caffè.
“Sembri affranta. Mi dispiace. Però il colore della tua sciarpa mi piace moltissimo”.
La guardo bene.
La conosco? Non mi pare.
“Queste giornate non aiutano,” continua: “anch’io ho momenti così. In cui mi sembra tutto un po’ difficile. Poi passano, comunque”.
Arrivano caffè e cappuccino.
Vorrei dire qualcosa, ma non so che aggiungere.
“Sembra anche un po’ inutile” riprende lei: “Dico, questo affanno” e si guarda intorno: “Tutti che si accalcano qui per andare in posta. Eh, sì. Le bollette da pagare. Le commissioni da sbrigare. Però dai, almeno hai preso un buon cappuccino”.
Sì, il cappuccino è buono.
Le sorrido, faccio per risponderle.
Un brusio si solleva alle mie spalle.
La posta ha aperto. Le persone sgomitano per imboccare l’uscita del bar. Le scarpe infangate scivolano sul linoleum viscido e il portaombrelli si svuota a una velocità impressionante. Il mio ombrellino rosso rimane steso a terra, arrabbiato.
“Devo andare anch’io” fa la ragazza.
Si alza e va via.
Non ho il tempo di risponderle, sembra volatilizzata.
Mi guardo allo specchio di fronte a me. Sono io, quella? Bella
la mia sciarpa, vero. Non so se cambierò lo specchio di casa mia. Forse, non è male avere qualcosa che ti rimandi un’immagine positiva, anche se non è sempre vera. Medito anche sul fatto che il povero specchio non c’entri niente. E’ il mio sguardo che cambia di continuo.
Mi volto verso la porta. Dov’è la ragazza? Quelle poche parole scambiate mi hanno scaldato il cuore, più del cappuccino. Vorrei dirglielo. Un grazie.
Basta così poco, a volte.
Chissà chi era.
Mi alzo, pago, recupero l’ombrellino rosso ed esco, sotto la pioggia battente. Della ragazza non c’è traccia. Mi metto in coda, alla posta, con il dubbio di non averla mai incontrata sul serio.

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